Che sia fouetté o canestro, basta che sia!
Riportiamo la testimonianza di una nostra tifosa.
Dedicategli 3 minuti del vostro tempo, ne vale la pena!
Per iniziare una buona lettera d’amore, bisogna iniziare senza sapere cosa si vuol dire e finire senza sapere cosa si è scritto. ( J.J. Rousseau)
Il mio amore per la Rucker Sanve è cominciato poco meno di un anno fa, quando, attraverso gli occhi e le parole di un professionista meraviglioso, sono venuta a conoscenza di questo Sogno, diventato Progetto e reso Realtà.
Un amore che mi ha spinta fino alle radici del nome in una domenica di fine maggio a New York, a Rucker Park, a vedere con i miei occhi cosa significasse offrire un’opportunità a dei ragazzi in un quartiere che diversamente avrebbe offerto loro, tutt’oggi cose migliori.
Un amore che mi ha spinta un paio di mesi dopo a tatuare sul mio bicipite sinistro un cuore con una freccia che guarda in alto.
Un amore che io molto tempo fa avevo conosciuto, vissuto, coltivato…e dimenticato, ma per quanto l’amore faccia soffrire non va mai dimenticato. Io invece l’avevo fatto.
Non ho mai visto una partita di basket in vita mia. Lo so, che lo legga un ragazzo, un genitore, un allenatore, un preparatore, un dirigente, la reazione sarà la medesima.
Ma vi chiedo di arrivare alla fine. Anche perché non vi voglio parlare di basket, ma di me. Vi voglio raccontare la mia storia. Interessante? Non credo. Formativa? Spero di sì. Mia madre sostiene che io, prima, abbia cominciato a ballare, poi a camminare.
Ho iniziato a studiare danza a 3 anni…un immenso grazie va a Lei, che partiva da un paesino del basso Veneto per portarmi a studiare in città. Da settembre a luglio. Mi aspettava in macchina, leggeva un libro, guardava fuori dal finestrino dell’auto… attendeva i miei racconti, i miei body sudati da lavare, i lunghi capelli da districare. Me la immagino malinconica e orgogliosa insieme. Ma non chiedetemi il perché.
Sette anni così fino a che la mia insegnante non mi fece fare due audizioni. Vinte entrambe. Nelle due maggiori Scuole di balletto classico in Italia. Fantastico ci sarebbe da dire. Ero dotata di talento, avevo la possibilità di coltivarlo, c’era chi se ne era accorto o molto più semplicemente avevo l’occasione di fare ciò che mi ha sempre reso incondizionatamente felice. Ma…c’è un ma.
Mio padre si oppose. Che senso aveva buttar via denaro per un capriccio: chi avrebbe garantito che sarei diventata qualcuno? Che mi sarei potuta comprare da mangiare con la danza classica? Non potevo continuare nella mia scuola di provincia e fare il saggio a fine anno? Che grilli erano le tournée, i teatri di tutto il mondo a portata di mano? Sapete c’è un momento, è una piccolissima frazione di secondo, in cui l’ultima nota si spegne e comincia l’applauso…ecco, in quell’attimo ti senti il
padrone del mondo. Non c’è felicità più grande. Sei felice e basta. Delirante. Chi non ha mai coltivato una passione non può capire, ma voi, ragazzi, si.
Mio padre non aveva capito il mio sogno di vita. Io capii perfettamente però che credevano tutti in me e nel mio talento: tutti, tranne mio padre.
Vi chiederete se negli anni l’abbia perdonato. Candidamente vi dico: no.
Ci pensò mio nonno a farmi studiare. Un umile tassista che metteva a disposizione i risparmi di una vita per me. La vita ci offre sempre l’opportunità di realizzare ciò che sogniamo. Basta dargliene la possibilità. Me ne andai di casa ad 11 anni. Per studiare in una Scuola di balletto classico. Com’era la mia vita? Vivevo in collegio, dividevo la stanza con altre cinque ragazze. La mattina la scuola pubblica, il pomeriggio quattro/cinque ore di lezione di danza, poi lo studio e a letto. Tornare a casa? Ogni tanto. Telefonare a casa? Raramente: il regolamento degli internati lo vietava. Abiti alla moda? Spiacenti no: avevo la divisa. Saltare la scuola? Impossibile. Se non si aveva la media dell’8 si veniva allontanate dalla Scuola di balletto. Assenze? Mai più di un tot all’anno, sennò punizione di cui sopra. Esami ogni trimestre, col rischio di essere cacciate da un momento all’altro.
Vi va di richiedermi com’era la mia vita? MERAVIGLIOSA! Penserete che io sia pazza. Beh in fondo tutti gli artisti lo sono, no? Inutile negare che fosse una vita difficile: mi mancavano mia madre, gli amici, le corse in bicicletta a perdifiato, un panino con la Nutella!
Ma ogni volta che entravo in sala…sentivo l’odore di legno.. di pece… sentivo le note del pianoforte… sentivo il ritmo cadenzato dall’insegnante che batteva il suo bastone sul pavimento… quando interrompeva la lezione per correggermi… io ero felice. Perché stavo lavorando per il mio sogno. E vedevo il mio corpo acerbo che si modellava sempre di più… i muscoli sempre più
definiti… i movimenti più fluidi… i miei piedi che addomesticavano le scarpe da punta e santa pazienza se dopo sanguinavano. Mi guardavo allo specchio: il mento ad una spanna dallo sterno: non troppo alto da persona arrogante, né troppo basso da persona timorosa: era il portamento di una persona fiera e sicura di sé. Nei lunghi anni trascorsi accanto alla danza, sono stati innumerevoli gli insegnamenti che ho ricevuto. Il più bello? Aprite YouTube e digitate: “Gillian Murphy fouttes Black Swan Coda”. Ecco il fouetté è nella danza classica il passo più difficile. Lei ne fa 45 di seguito. Contateli, se ne avete voglia. La danza classica, studiare danza classica, avere persone che si sono messe a disposizione per farlo mi ha insegnato prima di tutto NON a chiedermi: “Ma io riuscirò mai a farli i fouttes?”, bensì :” In quanto tempo riuscirò a farli i fouttes?” Credere in me stessa, nelle mie capacità è stato tutto merito dello studio.
Ci sono stati momenti in cui mi è venuta voglia di mollare? Certo. Mentirei se dicessi il contrario.
Ma poi infilavo le punte e ogni dubbio spariva. Sono diventata una ballerina classica? Chiaramente!
Che domande sono?!
Ma proprio quand’eccomi pronta per i teatri, per i balletti di repertorio, un banale incidente ha messo fine alla mia carriera. La vita ha sempre più fantasia di noi: non trovate?
Dopo la disperazione iniziale per aver visto sfumare il sogno di una vita, mi rimboccai le maniche per non vanificare più di 20 anni di studio: perché prima di tutto la Scuola di balletto era stata per me una Scuola di vita. Mi aveva dato metodo, disciplina, rigore, fiducia in me stessa.
Oggi chi vi parla ha 35 anni, è un’imprenditrice e una donna serena. Affermata? Questo lo dicono gli altri, io mi do sempre margini di miglioramento, vecchi retaggi del passato. E se oggi dovessi schiattare morirei felice, perché non ho rimpianti. Ho fatto tutto ciò che potevo per me stessa e sapete chi devo ringraziare?
I miei insegnanti che hanno creduto in me e nel mio talento dandomi forza, ma non arroganza. Voglia di migliorarmi e di non arrendermi al primo ostacolo.
Mio padre: col suo no ha messo alla prova la mia passione. Capita ancora che qualcuno lo fermi chiedendogli perché non balli più…quando me lo riferisce lo vedo incupirsi: so che si rammarica per non aver avuto il coraggio di condividere il mio sogno, ma soprattutto la mia felicità e so che lo perdonerò quando lui riuscirà a perdonare prima di tutto se stesso.
L’ultimo ringraziamento va a me stessa, per aver visto SOLO il mio sogno e MAI il corollario di ostacoli, ma soprattutto per non aver mai dimenticato il motivo per cui avevo cominciato a ballare: perché mi divertivo.
Da tifosa sfegatata del Vostro Progetto, per come lo conosco, vi dico solo ragazzi: credeteci, divertitevi, giocate come fosse la prima volta e come se non ci fosse un domani, come se fosse la partita più importante. O l’ultima.
Non abbiate paura delle critiche: saranno quelle a costruire ciò che sarete: non le lodi.
Diventerete tutti campioni di basket? No. Ma sarete un domani senz’altro degli uomini migliori.
E qualunque cosa farete, la farete al meglio.
Come fosse la partita più importante della vita.
Datevi (ragazzi) e dategli (genitori) l’opportunità di essere felici. Di non avere rimpianti.
Al resto penserà la vita.
Siete un Progetto bellissimo. Grazie!